IL CIBO COME RICATTO EMOTIVO

In tutte le culture, in quella del nostro Paese in modo particolare, il cibo non è solo apporto calorico necessario alla sopravvivenza ma è anche il risultato di molteplici fattori affettivi, relazionali e sociali.

Il modo in cui i genitori si rapportano ai loro figli nel momento dei pasti ci dà molte informazioni sulla qualità della loro relazione. Di conoscenze relative alle modalità in cui questo momento andrebbe affrontato ce ne sono tante ma non è così facile metterle in pratica. Bisogna nutrirli al meglio, abituarli ai sapori, renderli autonomi, fare in modo che il momento della tavola sia una pausa piacevole, trasmettere loro il nostro amore.


Capita facilmente che l'ansia del genitore la faccia da padrone. Questo momento diventa spesso intriso di preoccupazioni per lo più inutili, finendo di mescolare al cibo emozioni dai sapori ambigui, spesso mal gestite. 

Se un bambino mangia, la mamma o il papà sono contenti (a dirla tutta sono le mamme in particolare ad avere questa tensione), se non lo fa la mamma rimane male, si turba, si innervosisce. 

Tutte queste dinamiche fanno sì che il bambino si renda conto ben presto di avere un grande potere: può rendere felice o infelice la sua mamma. 

Intuito il potere di cui il bambino dispone: "mangio-non mangio";"se non mangi non ti faccio, non ti do, non ti voglio" da parte della mamma, il gioco del ricatto è servito. Un gioco che si incastra alla perfezione.  


Ognuno dei due partner della relazione fa di tutto per esercitare potere sull'altro. Un'"arma" che sia il piccolo che la mamma imparano ad utilizzare per ottenere, farsi ascoltare, pretendere. Il momento del pasto si presta con facilità a questo tipo di dinamiche controverse. Con il tempo la situazione può peggiorare, ci si può trovare nel bel mezzo di vere e proprie battaglie dove ognuna delle parti vuole dimostrare all’altra che può vincere. Diventa una modalità comunicativa con la quale si trasmettono difficoltà. A volte si comunica attraverso il rifiuto del cibo, altre riempendosi a dismisura. Chiaramente tutto questo può sfociare in un vero e proprio disturbo alimentare. Importante sottolineare che si tratta di qualcosa che va ben oltre il cibo: si tratta infatti di uno scambio affettivo carico di significati. Nell’alimentazione si cercano soluzioni a carenze affettive. Il cibo può sostituire un vuoto affettivo. In genere i cibi che vengono scelti sono dolci e carboidrati, fonti di zucchero e quindi di dolcezza. Può essere una valvola di sfogo, una compensazione che si cerca  nell’ esterno per sciogliere dei nodi emotivi accumulati e irrisolti. Si può rifiutare il cibo perché proposto dalla persona che elicita rabbia e per questo lo stomaco si chiude. Se poi il bambino è arrabbiato e sa che la mamma va in crisi se non mangia, lo interpreterà come la migliore occasione per fargliela pagare. Ecco qui il ricatto emotivo. 

 

Come migliorare il rapporto col cibo dei propri figli? 

  • Dare spazio all’espressione e alla lettura delle proprie emozioni e di quelle altrui.  
  • È importante che il momento del pasto diventi piacevole e un momento di condivisione esclusiva da vivere con i propri cari. 
  • La scelta di un’alimentazione sana deve coinvolgere tutti i componenti della famiglia. L’apprendimento per eccellenza è quello vicario: il bambino apprende per imitazione. 
  • I prodotti fatti in casa vanno preferiti. Manteniamo quanto più possibile il legame con la natura. 
  • Il bambino deve essere coinvolto quanto più possibile nella preparazione dei cibi insieme a chi si prende cura di lui. In questo modo si implementano le sue capacità sensoriali ed emozionali. 
  • La cura nella presentazione del piatto non va trascurata: anche l’occhio vuole la sua parte. 

Dott.ssa Cristina Bernucci

Psicologa - Psicoterapeuta

 



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