DISTURBO EVITANTE-RESTRITTIVO

ARFID Avoidant Restrictive Food Intake Disorder
DISTURBO EVITANTE-RESTRITTIVO NELL'ASSUNZIONE DI CIBO

Una mamma sa quali cibi non piacciono al proprio figlio.  In alcuni casi però gli alimenti che un bambino mangia vengono selezionati in modo eccessivo. Si va avanti sperando che la situazione possa cambiare e che il proprio figlio, un po’ troppo schizzinoso, nonostante questo crescerà. Molti alimenti vengono respinti con disgusto, i pasti sono consumati lentamente. Si pensa si possa trattare di capricci, spesso lo è, ma se questa forma di alimentazione selettiva ha un’influenza negativa sullo sviluppo psico-fisico, perché il bambino non mantiene un introito calorico adeguato, allora ci sono i presupposti che soddisfano i criteri diagnostici del disturbo evitante/restrittivo nell’assunzione del cibo (ARFID).

L’ARFID può essere presente anche negli adolescenti ma con diverse caratteristiche. Il cibo in questo caso fa paura. Si ha paura di poter soffrire per causa sua. Si ha paura di fare indigestione, di potersi soffocare con l’ingestione e si è anche spaventati da caratteristiche sensoriali degli alimenti quali la consistenza, l’odore, il sapore, la viscosità.  Si rischia uno stato di denutrizione. L’incidenza nella popolazione adulta è minima. La prevalenza è nei maschi. Quando sono gli adulti ad esserne colpiti vengono compromesse perlopiù le relazioni sociali.

Per poter parlare di disturbo è necessario tener conto dei seguenti criteri:
 
1. Un disturbo dell’alimentazione o della nutrizione (per es., apparente mancanza d’interesse per il mangiare o per il cibo; evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo; preoccupazioni relativa alle conseguenze negative del mangiare) che si manifesta attraverso la persistente incapacità di soddisfare le necessità nutrizionali e/o energetiche appropriate, associato a uno (o più) dei seguenti aspetti:

  • Significativa perdita di peso (o mancato raggiungimento dell’aumento ponderale atteso oppure una crescita discontinua nei bambini).
  • Significativo deficit nutrizionale.
  • Necessità di ricorrere a integratori alimentari, a supporto di una nutrizione carente, o addirittura alla nutrizione con un sondino nasogastrico;
  • Marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.

2. Il disturbo non è spiegato da una mancata disponibilità di cibo o da una pratica associata culturalmente stabilita.
3. Il disturbo dell’alimentazione non si manifesta esclusivamente durante il decorso dell’anoressia nervosa o della bulimia nervosa e non vi è alcuna evidenza di un disturbo nel modo in cui vengono vissuti il peso o la forma del proprio corpo.

Le cause
Le cause, sono di varia natura. Da un lato ci sono casi dovuti a esperienze di tipo traumatico, come un rischio di soffocamento vissuto in prima persona o indirettamente. Dall’altro potrebbero subentrare anche fattori genetici. Vanno prese in considerazione  intolleranze alimentari, celiachia e certamente non sono da sottovalutare le cause psicologiche. Inoltre possono esserci delle difficoltà ad esprimere le emozioni o a relazionarsi con l’altro in contesti familiari difficili. Anche una profonda timidezza o la presenza dei disturbi dell’apprendimento può essere una determinante.  

Come intervenire
Accertato che non vi siano cause di tipo organico, che richiedono un intervento mirato in base al disturbo di cui soffre il soggetto, è necessario intervenire dal punto di vista psicologico, ricorrendo a un professionista che cercherà di orientare i genitori (se si tratta di un bambino/ragazzo) o che interverrà sull’adulto.  Teniamo conto che potrebbe esserci un disagio emotivo o relazionale sottostante il disturbo alimentare. Allora è fondamentale lavorare sul disagio vissuto dal soggetto.
La terapia include anche l’educazione alimentare.
È molto utile stimolare i bambini a preparare i piatti per risvegliare i sensi e coinvolgerli attivamente.  Si sottolinea anche l’importanza del non   sforzare eccessivamente i bambini a mangiare adottando atteggiamenti iperprotettivi e va permesso loro   di selezionare un po’, senza interferire troppo. Lo stesso vale per  un’eccessiva rigidità: evitare  minacce e punizioni qualora il bimbo non voglia mangiare.

Dott.ssa Cristina Bernucci
Psicologa - Psicoterapeuta



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